Rania di Giordania ha recentemente accusato i leader occidentali di un evidente doppio standard per essersi schierati unilateralmente con Israele dopo il massacro del 7 ottobre e non aver condannato la morte di migliaia di civili sotto i bombardamenti a Gaza nei giorni successivi. Per la regina lo shock ha colpito l’intero Medio Oriente, dove il silenzio assordante dell’Occidente è visto come segno della complicità nella tragedia umanitaria nella Striscia. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha definito i miliziani di Hamas combattenti per la liberazione e non terroristi, dunque da non paragonare ai tagliagole dell’Isis, ma più una sorta di benefattori. Visioni diametralmente opposte a quella occidentale. Del resto non è una novità: Europa e Stati Uniti sono stati spesso accusati non solo di vedere il mondo esclusivamente dalla propria prospettiva, cosa in realtà comune a tutti, ma di usare due pesi e due misure a seconda delle situazioni, l’ultima appunto sulla questione israelo-palestinese. Pankaj Mishra, autore indiano di L’Età della rabbia e Le Illusioni dell’Occidente, saggi in cui ripercorre in maniera critica gli eventi del XX secolo e del primo scorcio del XXI, in un recente articolo apparso sul settimanale tedesco Der Spiegel ha sintetizzato la questione dei doppi standard e della doppia morale, evidenziata recentemente nel caso israelo-palestinese anche da Amnesty International, e del rapporto dell’Occidente con il resto del mondo in maniera molto pessimistica: se la maggior parte dei politici e dei commentatori occidentali rimarrà ancorata alla narrazione secondo cui Israele è solo vittima non resta che prepararsi a tempi molto bui.
La democracy promotion come specchietto per le allodole
D’altra parte, quello che è accaduto negli ultimi tre decenni, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ha mostrato in maniera lampante quanto Stati Uniti ed Europa abbiano fatto dei doppi standard in politica estera più la regola che l’eccezione, seguendo in qualche modo lo schema applicato già durante la Guerra fredda: per difendere i valori delle democrazie liberali nel duello con il comunismo si sono giustificati regimi antidemocratici e golpe fascisti, uno su tutti quello in Cile del 1973. Allora, si diceva, bisognava combattere i tentacoli dell’Impero del Male, così avrebbe battezzato Ronald Reagan l’Urss nemmeno tanto prima che questa implodesse per conto suo. George Bush junior si inventò poi nel 2002 l’Asse del Male (Corea del Nord, Iran e Iraq) per fare la guerra – la seconda, dopo che suo padre aveva lasciato a metà l’opera negli Anni 90 – a Saddam Hussein. La dottrina della democracy promotion come specchietto per le allodole. Nel frattempo, era il 1999, gli Usa e la Nato avevano già bombardato la Serbia senza mandato dell’Onu, e messo le basi per l’indipendenza del Kosovo, arrivata nel 2008 e non riconosciuta ancora oggi da vari Paesi dell’Ue e da buona parte dal resto del mondo. E qui si è aperto il capitolo scottante poi ripreso nello spazio postsovietico per le crisi in Abkhazia, Ossezia del Sud e Crimea.
Erdogan e Yanukovich: due pesi e due misure
A ben vedere l’occupazione turca di Cipro nel 1974, che prosegue ancora oggi visto che la Repubblica di Cipro Nord è riconosciuta solo dalla Turchia, può essere considerata la madre di tutti i doppi standard. De jure metà dell’isola è parte di Cipro, che a sua volta fa parte dell’Unione europea mentre la Turchia occupa de facto un pezzo di Ue, ma ovviamente nessuno si scandalizza troppo, tanto meno si è mai sognato di pensare a qualche tipo di sanzione, perché Ankara è un membro della Nato. Questa condizione ha permesso a Erdogan di fare quello che ha voluto, a casa propria e fuori, senza temere di far finire il Paese nel vortice di guerre diplomatiche, economiche o conflitti veri e propri. Se nell’estate del 2013 ha potuto reprimere con la forza le proteste interne nate sull’onda della rivolta al Gezi Park senza temere ripercussioni, peggio è andata al suo collega ucraino Viktor Yanukovich che un paio di mesi più tardi si è ritrovato a Kyiv la rivoluzione in casa fomentata da Washington e da alcune cancellerie occidentali. Erdogan è stato premiato con qualche miliardo di euro da Bruxelles per fare il cane da guardia alle migliaia di profughi in arrivo da Afghanistan e Siria, ha sostenuto l’Azerbaigian nella guerra contro l’Armenia, ha giocato sporco in Siria, è rimasto un buon amico di Putin e ora ha gettato la maschera giustificando Hamas. Ma l’Alleanza Atlantica non può fare a meno di un alleato in una posizione così strategica, soprattutto ora.
I nuovi equilibri mondiali che l’Occidente non vuole (o non sa) vedere
Il problema dell’Occidente non è tanto tra le proprie fila, dove dei doppi standard ci se ne infischia e a livello militare è Washington a comandare, ma nel resto del mondo: Cina, India, Brasile, Russia e, l’Asia e il cosiddetto Grande sud sono attori che se fino a qualche anno fa non avevano voce in capitolo negli equilibri mondiali, si stanno trasformando oggi in player con un ruolo sempre maggiore. La narrazione occidentale non funziona più: la questione morale, dei valori, da sempre strumentalizzata dall’Occidente, non può essere più utilizzata per una strategia di politica estera spregiudicata nei confronti di Paesi con una storia, anche di colonizzazione, che si sta evolvendo verso nuovi equilibri. Come ha scritto Mishra su Der Spiegel, una nuova generazione di politici e commentatori occidentali, un po’ annebbiata dalle fantasie della Fine della Storia nel 1989 e rimasta intellettualmente indietro, non ha ancora capito che nel resto del mondo è già in vigore un nuovo equilibrio rispetto al potere geopolitico ed economico dell’Occidente.
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