È un gioco dell’Oca di nome e di fatto. E a giocarlo è la famiglia regnante del Kuwait, gli Al Sabah, che nel patrimonio personale annoverano un asset cui molte altre dinastie della penisola araba aspirerebbero: la presidenza dell’Olympic council of Asia, il Consiglio olimpico d’Asia, cioè l’associazione dei comitati olimpici del continente. Il cui acronimo è Oca, appunto. L’organizzazione-ombrello che raduna 45 comitati olimpici asiatici è roba loro. Lo rimarrà ancora per poco, come ha chiesto il comitato etico del Cio presieduto dalla giurista francese Paquerette Girard-Zappelli. Fine del gioco che riporta tutto alla casella di partenza, quella degli Al-Sabah. Ma che sia stato necessario un fatto eclatante, per rompere una situazione in cui una dinastia regnante è proprietaria di un segmento rilevante dello sport internazionale, è già di per sé elemento indicativo di cosa sia lo sport internazionale e di quanto di feudalesimo persista in seno al Comitato olimpico internazionale (Cio). Che dal canto suo si sforza di proiettare all’esterno un’immagine di modernità e dinamismo, ma poi continua a fare i conti con sacche di pre-modernità.
Al Sabah senior e la storica scenata al Mundial 1982
Fondata nel 1982, l’Oca ha avuto il suo quartier generale dapprima a New Delhi, per vederlo spostare nel 1991 a Kuwait City, cioè a casa di colui che ne è stato presidente sin dalla fondazione: Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al Sabah. Che è stato un membro di punta della famiglia regnante kuwaitiana ma non è arrivato a veder celebrare il trasferimento di sede: un anno prima era stato ucciso nel corso dell’invasione del Kuwait per mano delle truppe irachene di Saddam Hussein, avvenuta il 2 agosto 1990. Sulle circostanze che hanno portato alla sua morte permane il mistero. Ma ancor più rimane nella memoria ciò che lo sceicco è stato capace di compiere in occasione del Mondiale di Spagna 1982, lo stesso anno dell’elezione a capo dell’Oca. È passata alla storia la scena del suo ingresso in campo durante Francia-Kuwait (4-1) giocata allo stadio José Zorrilla di Valladolid. Convinto che un gol del francese Alain Giresse fosse stato segnato in fuorigioco, lo sceicco scese dalle tribune e ne pretese l’annullamento dall’arbitro sovietico Miroslav Stupar, minacciando di ritirare la squadra dal campo qualora il suo desiderio non fosse stato eseguito. L’arbitro obbedì. Una delle scene più grottesche e vergognose nella storia universale del calcio.
Il figlio non è stato molto più sobrio: un accumulatore di poltrone
Chiaro che i figli di cotanto padre non potessero essere particolarmente sobri. Il primo a proseguire la carriera sportiva è stato Ahmad Al-Fahad Al-Sabah, che nel 1991 è succeduto al padre come presidente dell’Oca e ha deciso di spostare il quartier generale a casa sua. Ahmad Al-Sabah è stato presidente dell’Oca per vent’anni, fino a settembre 2021. Un ventennio durante il quale lo sceicco Ahmad non si è risparmiato di piazzare gesta degne del genitore. Oltre a cumulare cariche sportive (a quella di presidente dell’Oca vanno aggiunte la presidenza del comitato olimpico nazionale, la presidenza della federazione asiatica di pallamano e la vicepresidenza della federazione mondiale della stessa disciplina, oltre a una poltrona da membro Cio mantenuta fino al 2022) è stato anche allenatore della nazionale di calcio kuwaitiana. In quel ruolo è stato protagonista di una polemica contro la nazionale australiana, “colpevole” di avere eliminato il Kuwait dalla corsa al Mondiale di Germania 2006. Nell’occasione lo sceicco Ahmad ha invitato la confederazione asiatica del calcio (Afc) a espellere dai propri ranghi gli australiani, che negli anni precedenti avevano scelto di lasciare la confederazione dell’Oceania per passare da quest’altra parte.
Il sospetto di aver intascato tangenti per Qatar 2022
A metterlo fuorigioco dalla presidenza dell’Oca è stata una serie successiva di investigazioni. Fra le altre, il sospetto di avere percepito tangenti per l’assegnazione del Mondiale 2022 al Qatar e una condanna avvenuta in Svizzera nel 2021 riguardo a una falsa accusa di tentativo di colpo di Stato rivolta a un membro rivale della famiglia regnante. In conseguenza di questi scandali Ahmad Al Sabah è stato costretto a lasciare la carica di presidente dell’Oca, oltre a tutte le altre che aveva conquistato nelle organizzazioni dello sport internazionale. A reggere l’associazione dei comitati olimpici asiatici è stato designato l’indiano Randhir Singh, cui è stato dato il compito di pilotare l’organizzazione verso le elezioni del 2023. Missione compiuta con voto tenuto l’8 luglio. Chi ha vinto la corsa? Lo sceicco Talal Al-Ahmad Al-Sabah. Che è figlio di Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al-Sabah e fratello di Ahmad Al Fahad Al Sabah. Sembrerebbe l’ennesimo passaggio di poteri all’interno della famiglia. Ma stavolta il meccanismo si è inceppato.
L’ingerenza fraterna: annullato l’esito dell’elezione di Talal
Prima che si andasse al voto era giunto un ammonimento all’Al-Sabah dimissionario: non provi a influenzare il percorso elettorale, tanto più che uno dei candidati sarebbe stato il fratello Talal. Esortazione inascoltata. Ahmad è intervenuto e Talal ha vinto. Ma a quel punto è arrivata l’investigazione del Comitato etico del Cio, il cui esito ha bloccato gli effetti del risultato elettorale. Risultò ciò che tutti sapevano: il fratello dimissionario era intervenuto pesantemente per favorire la corsa del fratello candidato. Annullata quindi l’elezione del nuovo presidente, con prolungamento dell’interim tenuto dall’indiano Randhir Singh e divieto al fratello appena eletto (Talal) di ripresentarsi alla prossima tornata.
Il mondo olimpico è un mix di familismi e condizioni feudali
Dunque si dovrebbe essere giunti al termine della vicenda che vede l’Oca come un pezzo del patrimonio personale della famiglia regnante kuwaitiana. Per la prima volta nella sua storia l’organizzazione potrebbe avere un presidente non appartenente alla dinastia degli Al-Sabah. Usiamo il condizionale, perché non si sa mai. Di fratelli, zii e nipoti la famiglia regnante kuwaitiana abbonda, né la sua presa sull’organizzazione può essere smantellata da un giorno all’altro. Ma soprattutto c’è che sullo sfondo rimane il Cio. Che ama definirsi «la famiglia olimpica». Innumerevoli volte è capitato di sentire pronunciare questa espressione. E ogni volta l’intento è stato quello di comunicare il senso del radicato legame che unisce il mondo dello sport e genera concordia fra i vari attori. Ma a forza di concentrarsi sul suo senso metaforico si è finito per smarrirne quello letterale, concreto: che il mondo olimpico è una geografia di familismi e particolarismi, e che il Cio riproduce plasticamente questa condizione feudale nonostante provi in tutti i modi di dare un’immagine di modernità. Arriverà mai il giorno dell’ingresso del Comitato olimpico internazionale nella modernità?
Powered by WPeMatico