Il rischio di un contagio del conflitto tra Israele e Hamas in tutta la regione mediorientale si fa sempre più concreto. Mentre l’Idf segnala la presenza di una milizia iraniana nel sud del Libano, nel Paese dei cedri cresce la tensione in vista del discorso che il leader di Hezbollah Syed Hassan Nasrallah dovrebbe tenere venerdì 3 novembre. Il timore è che venga dichiarata apertamente guerra a Tel Aviv con una intensificazione degli attacchi contro Israele che a quel punto si troverebbe a dover gestire due fronti contemporaneamente. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli scontri tra le milizie di Hezbollah e Israele lungo il confine. Come riporta Al Jazeera, il gruppo armato libanese ha dichiarato di aver perso 47 combattenti, mentre il bilancio dell’esercito dello Stato ebraico è di sei militari caduti e almeno sei civili uccisi. L’idea di un nuovo conflitto con Israele preoccupa la popolazione del Libano meridionale che ha pagato più di tutti le conseguenze dei conflitti con Tel Aviv, compresa un’occupazione durata 15 anni, dal 1985 al 2000.
Il tentativo di Hezbollah di guadagnare consensi nell’intero mondo arabo
Hezbollah, ha spiegato ad Al Jazeera Mohannad Hage Ali, esperto di Libano presso il Carnegie Middle East Center, considera questo conflitto «esistenziale». La convinzione è che se Israele riuscirà a raggiungere l’obiettivo di sradicare Hamas dalla Striscia di Gaza, allora punterà sulla minaccia rappresentata da Hezbollah. Il gruppo militare stretto alleato dell’Iran sciita ha cercato di riconquistare il sostegno del mondo arabo sunnita dopo essere intervenuto nella guerra civile siriana al fianco di Bashar al-Assad. Dal canto suo il dittatore ha permesso il passaggio attraverso il suo Paese di armi e merci iraniane dirette in Libano. Ora Nasrallah, alla guida di Hezbollah dal 1992, potrebbe usare la crisi di Gaza per rinforzare la propria immagine e porsi come leader del cosiddetto “asse di resistenza”. «Milioni di arabi guarderanno il suo discorso in tutto il mondo. E ascolteranno l’unico leader della regione capace di esprimere la loro rabbia dicendo loro che agirà e sosterrà i palestinesi di Gaza», ha spiegato Hage Ali. Se i libanesi del Sud sono preoccupati, i rifugiati palestinesi sperano che Hezbollah intensifichi gli attacchi contro Israele e vedono nella guerra in corso l’opportunità di liberare definitivamente i Territori.
Il silenzio di Nasrallah e il mistero del video circolato sui social
Certamente una escalation potrebbe essere una opportunità per Nasrallah. Il leader di Hezbollah del resto riuscì a passare per eroe nazionale anche alla fine della seconda guerra del Libano del 2006. E questo nonostante i 34 giorni di feroci combattimenti, terminati con il cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite, avessero lasciato sul campo 1.200 libanesi e 159 israeliani senza contare i danni alle infrastrutture civili nel sud del Paese fino alla capitale Beirut. A Nasrallah bastò sopravvivere per essere celebrato come colui che aveva umiliato l’esercito più potente della regione tanto che nel 2008 un sondaggio lo indicò come il leader più ammirato del mondo arabo. Ora che di anni ne ha 63 si trova davanti a un bivio: lanciare o meno un attacco a Israele da nord e trasformare il conflitto in corso in una guerra regionale. Mentre l’Iran, che finanzia e arma sia Hezbollah sia Hamas, ha ripetutamente minacciato Israele di una escalation, Nasrallah finora è rimasto stranamente in silenzio. A eccezione di un video di pochi secondi che negli ultimi giorni è circolato sui social network in cui il leader con una musica di sottofondo angosciante passa davanti alla bandiera di Hezbollah. Una immagine che non promette nulla di buono.
A video widely circulated on social media shows mere seconds in which Hezbollah’s Secretary-General Sayyid Hassan Nasrallah passes, his back turned.
The video sent Israeli media into a frenzy as they speculated about the message behind the video.#Palestine #Lebanon pic.twitter.com/uxkoUu4Iaq
— Al Mayadeen English (@MayadeenEnglish) October 29, 2023
La carriera del leader di Hezbollah: dai quartieri poveri di Beirut fino all’incontro con Abbas al-Musawi
Nato nel 1960 in un sobborgo della parte orientale di Beirut in una famiglia povera, fin da giovane vedeva per sé un futuro da leader religioso. «Quando avevo 10 o 11 anni, mi mettevo la sciarpa di mia nonna intorno alla testa e dicevo agli altri di essere un chierico e di pregare dietro di me», ricordò in un’intervista al giornalista americano Robin Wright nel 2006. Dopo lo scoppio della guerra civile libanese nel 1975, si trasferì con la famiglia vicino a Tiro, nella parte meridionale, dove si fece notare da un religioso che lo spinse a studiare in Iraq. Lì incontrò l’uomo che sarebbe diventato il leader fondatore di Hezbollah, Abbas al-Musawi. Nasrallah tornò in patria tre anni dopo, nel 1978, espulso con altre centinaia di studenti coranici dall’Iraq, riprendendo gli studi presso una scuola religiosa fondata dallo stesso al-Musawi. Nel 1982 imbracciò un fucile per unirsi ai miliziani sciiti che combattevano l’invasione israeliana. Il gruppo che venne sostenuto, logisticamente e finanziariamente, dal regime iraniano che aveva preso il potere con la rivoluzione del 1979 prese il nome di Hezbollah, il partito di Dio. Nasrallah ne divenne il leader a soli 31 anni dopo l’uccisione di al-Musawi in blitz aereo israeliano nel 1992. Allargò la base dell’organizzazione tra i cittadini sciiti del Libano offrendo loro ciò che il governo di Beirut non riusciva a garantire: accesso alle scuole, servizi sociali, assistenza medica e alloggi. L’ala politica di Hezbollah partecipò per la prima volta alle elezioni del 1992, conquistando otto seggi in parlamento grazie a una campagna elettorale con manifesti di attentatori suicidi e lo slogan: «Resistono con il loro sangue. Resisti con il tuo voto». Un successo che ha subito una battuta d’arresto alle ultime Legislative del 2022, quando ha perso la maggioranza assoluta in parlamento. Scatenare una nuova guerra contro Israele potrebbe essere l’occasione di riaffermare una leadership appannata. Ma Hezbollah, nonostante l’arsenale in gran parte fornito dall’Iran che costituisce una minaccia concreta per Tel Aviv, questa volta potrebbe non rialzarsi più.
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