Il raggiungimento di un accordo storico tra Pristina e Belgrado sull’autonomia dei Comuni a maggioranza serba nel Nord del Kosovo sembrava cosa fatta, finché l’ex-capo dell’intelligence kosovara, Burim Ramadani, ne ha reso pubblica una bozza, mettendo i bastoni fra le ruote ai negoziati. Il testo garantiva infatti una notevole autonomia alla minoranza serba, cosa che non è mai piaciuta al premier kosovaro Albin Kurti. Eppure un’intesa deve essere trovata se i due Paesi vogliono continuare a percorrere la strada verso l’adesione all’Unione europea e seppellire una volta per tutte l’ascia di guerra.
Gli accordi di Bruxelles del 2013 non sono stati mai attuati
È dal 2013 che si parla dell’istituzione di un’Associazione dei Comuni serbi in Kosovo e da allora non sono stati fatti significativi passi in avanti. In quell’anno infatti sotto l’egida di Unione europea e Stati Uniti furono firmati gli accordi di Bruxelles: 15 punti che stabilivano la necessità di istituire una forma di autonomia per i Comuni a maggioranza serba del nord del Kosovo come precondizione necessaria per l’adesione di entrambe le parti all’Ue assieme all’impossibilità di esercitare un veto reciproco. A oggi gli accordi non sono ancora stati attuati e in 10 anni dopo il braccio di ferro ci si è inabissati in uno stallo per l’incapacità di trovare un compromesso: i serbi più oltranzisti temono che questo accordo porti alla definitiva ritirata dal Kosovo, i kosovari che si pongano le basi di un’entità separatista in grado di minare la sovranità di Pristina, senza contare il mancato riconoscimento della minoranza albanese nel sud della Serbia.
La ripresa dei negoziati a ottobre e il leak di Ramadani che imbarazza Kurti
Nell’ottobre di quest’anno i negoziati erano ripresi e sembravano promettenti al punto che il presidente serbo Aleksandar Vučić e il primo ministro kosovaro Albin Kurti avevano manifestato la disponibilità, in linea di principio, ad accettare una proposta equilibrata. Si trattava di un passo in avanti sostanziale, soprattutto alla luce delle tensioni che hanno attraversato il Kosovo nell’ultimo anno. Dalla disputa sulle targhe automobilistiche e le relative rivolte scoppiate nell’agosto del 2022 alla sparatoria nel monastero di Banjska, attacco organizzato da un gruppo di militanti serbi orchestrato dal politico, uomo d’affari e criminale Milan Radoičić. L’accordo che a ottobre non era stato reso pubblico proprio per proteggere gli sforzi diplomatici è stato invece diffuso dall’ex-capo dell’intelligence Ramadani che l’11 novembre ha pubblicato sul suo sito quello che afferma essere la bozza approvata dal premier kosovaro Albin Kurti: il portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri Peter Stano ha smentito, come da prassi, il contenuto del documento trapelato ai media, ma è difficile non pensare che si tratti di un tentativo di salvare la faccia. Kurti infatti si è sempre opposto alla creazione di un’Associazione di municipalità serbe e il suo partito Lëvizja Vetëvendosje (Lista per l’autodeterminazione) sostiene la causa nazionalista albanese con una piattaforma politica progressista sì, ma intransigente sulla condanna e l’attuazione degli accordi di Bruxelles.
Nella bozza diffusa sono concesse ampie autonomie alla comunità serba del Kosovo
I 45 articoli della bozza diffusa dall’ex capo dell’intelligence rischiano così di mettere in difficoltà il governo di Pristina. La cosiddetta “Associazione delle municipalità a maggioranza serba” godrebbe infatti di propri simboli ufficiali, di una bandiera e di uno stemma. Manterrebbe inoltre contatti diretti con la Serbia nell’ambito della cooperazione e del commercio. L’associazione gestirebbe le già presenti istituzioni educative e sanitarie finanziate da Belgrado. Dal punto di vista istituzionale, l’associazione avrebbe poi un bilancio autonomo gestito dall’assemblea, organo principale formato da delegati eletti dai consigli municipali rispettando la proporzione etnica. L’assemblea eleggerebbe presidente e vicepresidente e un “governo” di sette membri responsabile dell’esecuzione dei provvedimenti negli ambiti di propria competenza cioè educazione, sanità, cultura, sviluppo urbano e rurale. In aggiunta l’associazione avrebbe la possibilità di mettere in atto politiche per favorire il ritorno di profughi e rifugiati serbi in Kosovo. Questo accordo se venisse sottoscritto porterebbe alla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, considerata un requisito fondamentale per il processo di adesione all’Ue. Il rischio però è lasciare troppa autonomia a una minoranza che potrebbe creare problemi a Pristina. Kurti ne è consapevole ma ha poco margine di manovra. Gli accordi di Bruxelles stretti dai suoi predecessori parlano chiaro: la normalizzazione dei rapporti passa attraverso un riconoscimento di una qualche autonomia ai serbi del Kosovo. La strada verso l’Ue per i due Paesi rimane un percorso a ostacoli.
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