Dal 31 marzo non è più possibile lavorare in smart working senza accordo coi propri capi. Come continuare a lavorare da remoto?
Lavorare in vacanza, il sogno di molti, una condizione ricercata ma spesso irrealizzabile. La maggior parte dei lavoratori post pandemia crede che lavorare in smart working, connessi dalle parti più remote del pianeta, sia ancora fantascienza. Non tanto per una mancanza di opportunità, quanto per un’assenza di cultura aziendale tale per cui tanti manager e Ceo si dimostrano ancora scettici verso lo smart working.
Lo dimostra il fatto che nel settore privato il termine ultimo per usufruire dello smart working è decaduto al 31 marzo, rendendo molto difficile trovare un accordo tra datore e lavoratore in formula agile. Come fare, allora, se si vuole continuare a gestire il lavoro in modo flessibile e senza rinunciare ai propri diritti? Alcune idee vengono in aiuto.
È possibile “lavorare in vacanza”?
È bene innanzitutto distinguere due modalità di lavoro agile e non indurre il datore di lavoro a facili generalizzazioni. Smart working e telelavoro non sono la stessa cosa: lo smart working è una modalità di lavoro agile che permette di alternarsi in sede e intramezzare l’occupazione con alcune giornate di lavoro da remoto, da casa o da qualsiasi altra postazione che sia. Ciò riguarda perciò anche eventuali coworking, caffetterie o dovunque ci sia una connessione stabile e una condizione per permetterci di lavorare.
Detto ciò, se 2-3 giorni volessimo lavorare dalla nostra terrazza panoramica alle Canarie o davanti al caminetto in una baita a St. Moritz, chi potrebbe impedircelo? L’importante è che al datore venga comunicato il periodo di assenza di ufficio e gli orari in cui si sarà reperibili. Cambia la location, ma la produttività rimarrà la stessa.
Nel caso invece di “telelavoro”, il lavoro sarà sempre e comunque da remoto: non è prevista una postazione lavorativa in un ufficio aziendale, ma questo non vuol dire che non ci siano dei modi per controllare l’operatività del dipendente. L’orario di lavoro va in entrambi i casi concordato e pattuito col datore di lavoro.
Ciò che non può in alcun modo fare il datore è interferire con i ritmi personali del dipendente fuori dall’orario di lavoro. Il vostro capo si lamenta che la sera siate immersi in una jacuzzi o alle prese con un barbecue? Non dovete nulla al vostro responsabile fuori dall’orario di lavoro. Se lui preferisce rintanarsi in uno stanzino grigio, sono questioni personali.
Come lavorare da remoto?
Sfatati questi miti, quindi, non esiste il “lavorare in vacanza” perché chi lavora non va in vacanza, ma sceglie delle modalità per rendersi disponibile verso la propria azienda, cliente o datore di lavoro conciliando lavoro e tempo libero. Affinché questo sia possibile, dovrete però stabilire alcuni termini contrattuali.
Innanzitutto, una modalità smart working o il telelavoro sono possibili solo se possedete un computer portatile, vostro o fornito dall’azienda. Dovrete mettere in conto di essere sempre reperibili via telefono o mail. Questo non vuol dire “rispondere alle mail in piena notte” o durante i festivi, ma dovrete comunicare in modo immediato: molti capi credono che lontani dall’ufficio “abusiate” della loro fiducia, non dategliene modo.
Inoltre, per poter conciliare il lavoro coi vostri spazi, dovrete accedere a orari e ritmi flessibili. Nel caso in cui per esempio siate liberi professionisti, con partita iva o forme di lavoro coordinato, sarà molto semplice “istruire” i vostri clienti, nel caso in cui siate alle dirette dipendenze di altri, dovrete dimostrarvi flessibili e disponibili. Sempre esigendo rispetto e professionalità, valgono da entrambe le parti se esigete un rapporto di lavoro sano ed equilibrato.
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