“L’Albania rinasce nel segno del Littorio” è il titolo di una prima pagina del Corriere della Sera dell’aprile 1939, che celebrava l’annessione dell’Albania all’Italia fascista e che in questi giorni viene riproposto a mo’ di tormentone sarcastico, sui vari social, per ironizzare sulla nuova “inedita” alleanza tra i due Paesi in tema di migranti. Inedita perché, se a capo del governo italiano c’è una forza che, lo si voglia o meno, presenta nel suo Dna una continuità col governo di allora, dall’altra parte non è così: a firmare l’accordo con Giorgia Meloni, infatti, è stato Edvin Kristaq Rama, socialista da sempre, da un decennio a capo di un governo di centrosinistra. Non per caso a Tirana, a protestare rumorosamente – con tanto di risse e fumogeni in parlamento – contro la decisione del primo ministro albanese è stato tutto il centrodestra all’opposizione. Insomma, sembrerebbe tutto ribaltato rispetto alle vicende di 80 anni fa.
Il premier Rama: «L’Italia ci ha accolti quando scappavamo dall’inferno»
Rama ha poi pubblicamente, e candidamente, ammesso di essere consapevole della sostanziale inutilità dell’iniziativa, ma ci ha tenuto a sottolineare che «se l’Italia chiama l’Albania c’è», senza alcuna contropartita, per esempio un sostegno all’ingresso del suo Paese nell’Unione europea. «Quando l’Italia ha bisogno», ha ulteriormente sottolineato, «noi diamo una mano e siamo onorati di farlo. Perché l’Italia ci ha mostrato così tanto rispetto, ci ha dato una grande mano non una volta ma tante volte, ci ha accolti a braccia aperte quando sfuggivamo dall’inferno».
Prima degli sbarchi del 1991 a Brindisi e Bari, un’altra storia
Non contento, Rama ha anche precisato che «questo accordo non sarebbe stato possibile con nessun altro Stato Ue: c’è una differenza importante di natura storica, culturale ma anche emozionale che lega l’Albania all’Italia». Il premier albanese, evidentemente, ha la memoria un po’ corta, o forse eccessivamente selettiva, cosa che gli fa dimenticare che i legami che lui enfatizza affondano le radici in un periodo storico ben precedente al 1991 (anno dei famosi sbarchi a Brindisi e a Bari, considerati eventi simbolo della ribellione contro l’opprimente quarantennale dittatura di Hoxha), un periodo non esattamente edificante né per il suo Paese né per il nostro.
L’occupazione e la fuga in Grecia del sovrano Zog I
Se infatti dagli Anni 90 torniamo indietro di qualche decennio, al 1939 per l’esattezza, è chiaro che quella offerta dal nostro Paese all’Albania non fu esattamente una “mano” amica: si trattò di una pura e semplice annessione all’Italia fascista per via militare, conclusasi con l’occupazione di Durazzo, San Giovanni Medua, Valona e Santi Quaranta (mentre il sovrano albanese Zog I fuggiva in Grecia) e sancita poi come «unione personale» nella «persona di Vittorio Emanuele III» da un’Assemblea nazionale costituente convocata a Tirana in tempi rapidissimi e composta da albanesi filoitaliani (latifondisti, grande borghesia commerciale e clero collaborazionista soprattutto di confessione cattolica). Due mesi dopo l’occupazione, non per caso, veniva proclamato lo statuto del Regno d’Albania, che affidava il potere esecutivo e legislativo a Vittorio Emanuele III, il quale nominava suo luogotenente generale (viceré) in Albania il diplomatico Francesco Jacomoni di San Savino, già ministro per il Regno d’Albania e quindi ambasciatore.
Fascistizzazione forzata senza alcun retroterra ideologico
A riprova della fascistizzazione forzata dell’Albania vale la pena di ricordare che, a differenza di altri casi (per esempio quello delle nazioni della Penisola iberica o dei Balcani) dove la simpatia, prima, e l’adozione poi di modelli fascisti di governo avevano potuto contare su un diffuso retroterra ideologico, prima dell’annessione da parte dell’Italia l’Albania non solo non presentava alcun partito né alcuna organizzazione o movimento politici assimilabili all’ideologia fascista, ma non presentava nemmeno – in senso lato – tratti “fascistizzanti” all’interno della sua variegata e complessa struttura politica. Una struttura – per la maggior parte – certamente di stampo autoritario e conservatore (in senso generale), ma con caratteristiche ben diverse dal regime mussoliniano.
La formula “spintanea”: «Giuro di eseguire gli ordini del Duce»
La creazione del Partito fascista albanese, costituito il 23 aprile 1939 a Tirana, alla presenza del segretario del Partito nazionale fascista (Pnf), Achille Starace, fu un atto del tutto indotto e forzato, e suonava del tutto “spintanea” la formula con cui gli albanesi sancivano la loro adesione: «Giuro di eseguire gli ordini del Duce, fondatore dell’Impero e creatore della Nuova Albania, e di servire con tutte le mie forze e, se necessario, col mio sangue, la causa della Rivoluzione fascista». Così come ben poco originale si dimostrava lo statuto del partito unico d’Albania, emanato il 2 giugno, che, in piena consonanza di idealità e finalità comuni con quelle del Partito nazionale fascista si proponeva di perseguire «agli ordini di Benito Mussolini, creatore e duce del fascismo, la formazione politica degli albanesi, per il raggiungimento d’una sempre più alta giustizia sociale, secondo i principi della Rivoluzione fascista».
Prima del fascismo: il nostro interesse approfittando della crisi
Se anche riandiamo a prima dell’annessione, non si può dire che tra Italia e Albania i rapporti fossero esattamente di collaborazione spontanea e condivisa. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, per esempio, quando l’Albania, che si era rifiutata di sostenere gli Imperi centrali, si ritrovò ad affrontare una gravissima crisi economica frutto delle ritorsioni dell’Austria e dei suoi alleati, l’Italia, approfittando del fatto di non essere ancora scesa in guerra e dunque più disponibile delle altre Potenze, decise di “occuparsi” dell’Albania e di proclamare solennemente «l’unità e l’indipendenza di tutta l’Albania sotto l’egida e la protezione del Regno d’Italia».
Ingerenza italiana nello Stato indipendente dell’Albania
L’influenza – o, meglio, l’ingerenza – italiana veniva poi ancor più sancita ufficialmente al termine della guerra, quando, nel dicembre 1919, una decisione alleata stabilì che l’Italia, su mandato della Società delle Nazioni, avrebbe amministrato lo Stato indipendente dell’Albania. E sarà sempre l’Italia a sostenere Zogolli (lo Zog I che poi fuggirà in Grecia) che, al termine di una sanguinosa guerra civile, si autoproclamerà prima presidente della Repubblica – con un escamotage giuridico-istituzionale ideato dal giurista fascista italo-albanese Terenc Toçi – e quindi, il primo settembre 1928, sempre con l’appoggio italiano, re degli albanesi. Forse una ripassatina della storia non farebbe male al premier albanese.
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