Ai numeri da record è abituato. Ma di cifre come questa Cristiano Ronaldo avrebbe fatto a meno: 1 miliardo di dollari a titolo di possibile risarcimento. Pagato da lui, se la richiesta dei promotori della class action dovesse essere accolta. C’è un esercito di piccoli investitori che si ritengono gabbati dalle sue prestazioni. Non quelle del campo, ma quelle della sua versione avatar sublimata in formato non fungible token (Nft). Tutti ci hanno perso, mentre lui guadagna. Mica può funzionare così. Sta di fatto che, abituato a frantumare cifre canoniche come quelle dei gol segnati o delle presenze in nazionale, Cr7 non si sarebbe aspettato di fare i conti pure con questa del miliardo tondo di dollari. Spropositata abbastanza da far tremare anche un soggetto con smanie da superomismo come lui, sempre pronto ad accettare lo schema “uno contro tutti”. Il fatto è che stavolta i “tutti” sono troppi. Soprattutto, è esorbitante ciò che quei tutti pretendono. Ma non è questo il vero punto della questione. L’aspetto davvero interessante che si ricava dalla vicenda è la possibilità che si introduca un inedito rischio-testimonial, qualcosa di inimmaginabile fin qui. E certo, va tenuto conto delle specificità del caso e dei suoi tratti di business estremamente originali. Cionondimeno, le ripercussioni potrebbero avere portata generale.
Non funge il token: altro che momenti iconici di Cristiano Ronaldo
Tutto parte dalla collezione di Nft che Cristiano Ronaldo ha lanciato nel 2022 con Binance. Momenti iconici, come viene spiegato nella campagna pubblicitaria che non può non prevedere l’uso di uno fra i più stucchevoli aggettivi della contemporaneità. Il fatto è che al momento, di davvero iconico, ci sono soltanto lo schianto di Binance e le perdite degli investitori che hanno creduto in chissà quale capitalizzazione da criptovaluta.
Il 21 novembre la Security and Exchange Commission (Sec) statunitense ha riconosciuto Binance e il suo amministratore delegato, Changpeng Zhao, colpevoli di riciclaggio e violazione delle sanzioni. Ne è scaturita una multa da 4 miliardi di dollari. Accompagnata dalla condivisa opinione che da qui in poi il mercato delle criptovalute dovrà essere tirato fuori dal Far West e sottoposto a controllo e regolazione maggiori. Ma le disavventure di Binance non potevano non avere effetti collaterali. E il principale fra questi ha riguardato proprio il testimonial più illustre del colosso globale delle criptovalute: Cristiano Ronaldo, appunto. Che ha messo tutto il peso della sua immagine nella promozione della sua linea di Nft, ciò che è cosa ovvia. Ma che altrettanto ovviamente ha fatto di quell’immagine personale un elemento di legittimazione per Binance e un’esca per una classe di investitori in criptovalute, un po’ troppo propensi a lasciarsi incantare dall’aura del fuoriclasse calcistico globale ma molto meno accorti nel decidere i loro investimenti.
Cr7 doveva sapere della rischiosità dell’investimento
Se Cr7 non fosse stato parte dell’operazione, se non avesse prestato faccia e fama, loro non avrebbero investito. Ergo, adesso deve assumersi anche lui la responsabilità del pessimo esito cui è andato incontro il loro investimento. Tanto più che, come viene sostenuto dai promotori della class action, un soggetto che come lui ha possibilità di circondarsi dei migliori consulenti legali e finanziari non poteva non essere avvertito della rischiosità dell’investimento. Ma nonostante ne fosse consapevole, continua la linea di ragionamento, è andato avanti. Dunque adesso se ne assuma la responsabilità.
Anche al testimonial si possono imputare i costi sociali
Premesso che è da vedere se la cosa avrà un seguito. Dunque è bene mantenersi nell’ambito delle ipotesi di scuola. Dentro questo ambito si apre la prospettiva del rischio-testimonial che fin qui non pareva ipotizzabile: imputare anche al testimonial di una campagna pubblicitaria i costi sociali della pessima resa del prodotto messo sul mercato. E per quanto vada ribadito che si sta parlando di un settore merceologico molto particolare (che sfugge alla materialità stessa del concetto di merce), rimane il potenziale rivoluzionario della controversia. Il carisma del testimonial non può essere per lui soltanto un vantaggio, ma necessita di essere anche una responsabilità sociale. Che presto si tramuta in responsabilità civile.
Il prestigio strumento di monetizzazione? Sì, ma anche in negativo
Un’arma a doppio taglio, quando fin qui è stata esclusivamente un privilegio. E se davvero il prestigio personale del testimonial è uno strumento di monetizzazione, rischia di diventarlo anche in negativo e a suo danno. Ciò determinerebbe, da quel momento in poi, l’esigenza di una maggiore accortezza nella decisione di prestare faccia e fama a una campagna pubblicitaria. Tutto questo potrebbe entrare in ballo nella class action da un miliardo di dollari contro Cristiano Ronaldo. Ma forse lui è l’ultimo a rendersene conto.
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