Ogni anno la marcia del 25 novembre porta in piazza il dolore delle donne vittime di femminicidio. Ogni anno. Lo fanno le associazioni, le reti, le attiviste e le studiose che non hanno mai avuto bisogno di un eclatante caso di cronaca per motivarsi. I centri antiviolenza e le associazioni sanno bene che ciò che è accaduto a Giulia Cecchettin si ripete con cadenza quasi quotidiana (una donna vittima di femminicidio ogni tre giorni, dicono le statistiche) nei diversi luoghi del Paese, nei diversi contesti sociali e nelle diverse modalità che un assassino può immaginare per mettere fine alla donna che ritiene sua. È innegabile però che questa giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne sia circondata da un vento nuovo se non per chi manifesta almeno per chi di quella marcia non può non accorgersene. È troppo intenso il doloroso dibattito sull’assassinio di Filippo Turetta per concedersi di rimanere nel posto degli spettatori. Costretti a dare voci alle donne che di solito non hanno voce, i media hanno scoperchiato una sopraffazione sistemica che parte ben prima dell’ammazzamento e che nella maggioranza dei casi non si spinge fino all’epilogo luttuoso pur manifestando una violenza che è il vero tema.
Se si negano il patriarcato e la sopraffazione maschile è impossibile condividere la definizione di femminicidio
Come proponeva Luca Sofri su X si potrebbe fare un patto: chi non riconosce l’allarme del femminicidio in Italia può essere benissimo trattato come un terrapiattista. In maniera anti scientifica anche lui dimostrerà di non conoscere le basi, scambierà il femminicidio per il semplice omicidio di una donna, senza avere studiato. Del resto nel momento in cui si negano il patriarcato e la sopraffazione maschile sarebbe impossibile condividerne la definizione. Dice il dizionario: «Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte».
Come scriveva la femminista Marcela Lagarde «nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali»
L’antropologa Marcela Lagarde, rappresentante del femminismo latinoamericano e tra le prime teorizzatrici del concetto di femminicidio nel 1997 scriveva: «Il femminicidio implica norme coercitive, politiche predatorie e modi di convivenza alienanti che, nel loro insieme, costituiscono l’oppressione di genere, e nella loro realizzazione radicale conducono alla eliminazione materiale e simbolica delle donne e al controllo del resto. Per fare in modo che il femminicidio si compia nonostante venga riconosciuto socialmente e senza perciò provocare l’ira sociale, fosse anche della sola maggioranza delle donne, esso richiede una complicità e un consenso che accettino come validi molteplici principi concatenati tra loro: interpretare i danni subiti dalle donne come se non fossero tali, distorcerne le cause e motivazioni, negarne le conseguenze. Tutto ciò», continuava Lagarde, «avviene per sottrarre la violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziali che invece colpiscono altre forme di violenza, per esonerare chi esegue materialmente la violenza e per lasciare le donne senza ragioni, senza parola, e senza gli strumenti per rimuovere tale violenza. Nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali».
Perché un asse femminile tra Meloni e Schlein è improbabile
Quanti dei commentatori sono consapevoli che si stia parlando di questo? Ecco, appunto. Mentre si moltiplicano le voci che augurano un asse femminile (che sia femminista non ci crede nessuno, non ci spera nessuno) tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e tra la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein sarebbe il caso di essere consapevoli che le soluzioni condivise di un problema sono possibili quando se ne condividono le cause. È un passaggio logico fondamentale per non scadere nella retorica. Ogni anno la marcia dl 25 novembre porta in piazza il dolore delle donne vittime di femminicidio. Ogni anno. Nel corso degli anni sono state elaborate le proposte di soluzioni che quasi sempre la politica non ha voluto ascoltare. Non si discute solo di come eliminare le uccisioni, si discute di come eliminare anche tutto quello che viene prima, le sopraffazioni di ogni ordine e grado. Se qualcuno non è d’accordo con questo punto centrale il dialogo non è possibile. E gli oppressi nella Storia – da sempre – non possono fare altro che cercare di salvarsi (nel senso letterale del termine) attraverso lo scontro.
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