Chi frequenta i social si sarà imbattuto sabato 2 dicembre nella foto di Matteo Salvini e Eike Schmidt Open to meraviglia davanti alla Venere del Botticelli. C’era il raduno delle destre-destre a Firenze e il direttore del Museo degli Uffizi non ha perso l’occasione per farsi vedere accanto al ministro delle Infrastrutture. «O fai il direttore di un museo oppure ti dimetti e fai politica», gli aveva intimato Dario Nardella qualche mese fa, quando cominciarono i rumors sulla sua candidatura a sindaco di Firenze per la destra. «Ci penserò quando scadrà il mio mandato agli Uffizi, a Natale», rispose lui. Natale è alle porte e la foto del direttore col ministro lascia presagire che siamo forse alla vigilia di una decisione.
Schmidt, il comunicatore: dall’operazione Ferragni (organizzata però da Vogue) al restyling delle sale
Eike Schmidt, dal 2015 alla guida del più importante museo italiano, è uno di quei super direttori che furono scelti da Dario Franceschini dopo la riforma che apriva agli stranieri quei posti prestigiosi. «Schmidt», lo impallinò Nardella, «si vorrebbe candidare lasciando alla città le due gru del cantiere degli Uffizi, i ritardi sul Corridoio Vasariano e un bel giardinetto di quartiere all’uscita del Museo». Perché, diciamolo, Schmidt non è uomo da infrastrutture come il gruista Salvini: è più che altro affascinato dalla comunicazione. Si prese per esempio il merito di aver invitato Chiara Ferragni – Open to meraviglia anche lei davanti alla Venere del Botticelli con relativo selfie da 17 milioni di visualizzazioni – ma si è scoperto dopo che la celebre influencer era agli Uffizi per conto di Vogue Hong Kong. Sempre meglio delle infrastrutture sono poi gli interventi sugli arredi: il decor è più facile e più comunicativo rispetto al rifacimento dell’Uscita dalla Galleria, ideato dall’archistar Arata Isozaki, bocciato dal Consiglio superiore dei Beni Culturali che, con assist tempestivo, ha sollevato Schmidt da una rogna non da poco. Via allora, con l’aiuto dell’architetto Antonio Godoli, al restyling delle sale. Il primo intervento è sul famosissimo Tondo Doni di Michelangelo che, nel nuovo allestimento, è stato inserito in una struttura aggettante che ne riprende la forma circolare. La luccicante cornice bianca del Tondo è stata paragonata a una lavatrice, a un oblò, a un bersaglio da tiro con l’arco, al woofer di una cassa acustica, al logo dei Looney Tunes ed è stata oggetto di altre centinaia di parodie. Il direttore l’ha presa bene e, per via di quella fascinazione per la comunicazione di cui si diceva, aprì con un tweet sull’account ufficiale del Museo una sorta di gara a creare il layout più fantasioso della sala 41: «Invito i nostri follower a proporre creative rivisitazioni», scrisse incauto. Perché «quando un’opera d’arte, soprattutto se un tesoro dei secoli passati, diventa protagonista del dibattito popolare, è sempre cosa buona».
Il profilo TikTok e la deriva giovanilista degli Uffizi
Sarà per questo che gli Uffizi hanno lanciato ora un profilo TikTok demenziale. Increduli, siamo andati a vedere i TikTok del Metropolitan e del Louvre per vedere se anche quelle istituzioni autorevoli si erano lasciate influenzare dalla deriva giovanilista che ha contagiato gli Uffizi. Ma no, è solo @uffizigalleries che ha arruolato tale “principino” Massimiliano Pedone che dice di visitare il museo «da solo, senza plebe», oppure tale Ray Sciutto, in calzoni corti e bandana, per il quale Michelangelo è «uà, proprio bravo questo guagliò», mentre alla povera Venere del Botticelli, assunta a cottimo, fanno dire: «Lo so di essere odiata dagli altri quadri, perché sono la più fotografata di tutta la Galleria». Potevano mancare il metaverso e gli NFT tra i luoghi comuni che sembrano ispirare la comunicazione di questo luogo d’arte non comune? No, naturalmente. Prudenza avrebbe voluto prendersi un attimo di riflessione, invece di inseguire, per paura di restare indietro, la moda del momento che, purtroppo per gli Uffizi, sembra già tramontata, sostituita da altre più aggiornate: «Dall’America si attendeva la notizia arrivata grazie alla tecnologia dell’azienda Cinello», scriveva con lo stesso stile con cui tratta le piccole medie imprese, Il Sole 24 ore del 18 maggio 2021. «Il Tondo Doni è ora in versione digitale ed è un pezzo unico (chissà cos’era prima ndr). Realizzato attraverso un brevetto esclusivo, il DAW (Digital Art Work) l’opera di Michelangelo è la prima al mondo resa unica (sic) grazie a un sistema crittografato brevettato che impedisce la manomissione e la copia e tramite NFT ne certifica la proprietà». Bene, attendiamo il comunicatore Eike Schmidt alla prova, un po’ più difficile, di sindaco di destra della città di Firenze: è, probabilmente, l’ultima chance che gli resta. Doveva andare a dirigere il Kunsthistorisches Museum ma non se ne è fatto nulla: a Vienna, devono essersi impauriti.
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