E ultimo, nel campo che fu largo e oggi è semplicemente in cerca d’autore, arrivò Nichi Vendola. Anche se si tratta più di un ritorno che di un arrivo, l’ex governatore della Puglia, fresco di elezione per acclamazione a presidente di Sinistra italiana, si riaffaccia sulla scena politica. Sono bastate quattro parole con cui l’ex leader di Sel, in una intervista a Repubblica, ha sintetizzato cosa serve a sinistra e cioè una «connessione sentimentale col popolo» che subito sono riaffiorate alla mente le famose ‘Fabbriche di Nichi’, spazi di partecipazione aperta che proliferarono nel 2010, se ne contavano oltre 600 in tutta Italia, e che sembravano dover gettare le basi di un progetto nazionale. Salvo poi dissolversi insieme con le speranze di chi aveva visto in Vendola un futuro federatore. Per carità, Vendola ha detto chiaramente che non ha intenzione di candidarsi alle Europee, ma dietro quel «sento forte il richiamo della foresta» è lecito pensare ci sia qualcosa che bolle in pentola. Del resto, nell’intervista non ha lesinato frecciate ai due principali partiti di opposizione, il Pd e Il M5s. «Con un cartello elettorale sulla paura del fascismo non si fa molta strada», ha detto. E ogni riferimento alla scorsa campagna elettorale di Enrico Letta non è casuale. Al leader M5s Giuseppe Conte invece ha riservato la definizione di «progressista moderato» o «populista di centro». E non si sa cosa sia peggio, vista dal suo pinto di vista.
Nel centrosinistra i federatori non mancano: manca qualcosa da federare
Comunque sia, la verità è che oggi come oggi di federatori ce ne sarebbero anche, senza nulla da federare però. Manca la materia prima. Con Giorgia Meloni che, dall’altra metà campo, ringrazia e augura lunga vita a questa opposizione. A parte la contesa tra Conte ed Elly Schlein per guadagnare il posto al sole della leadership di una coalizione di centrosinistra, infatti, la lista di papabili guide di un ipotetico campo largo si allunga. E così vale per i federatori, chissà, forse a loro insaputa.
Le battaglie politiche di Landini preoccupano sua Pd sia M5s
È il caso, per esempio, del segretario della Cgil Maurizio Landini che, grazie al ministro Matteo Salvini, ha trasformato lo sciopero nazionale del 17 novembre scorso in uno scontro tutto politico, spostandosi quindi su un terreno che non dovrebbe essere il suo, ma di Conte e Schlein. Non a caso, i due leader politici, come raccontano dagli interna corporis del Pd e del M5s, ne osservano e temono le mosse. E così, fatta eccezione per quest’ultima protesta nazionale, fanno a gara per presenziare alle sue iniziative di piazza, da un lato per presidiare i rispettivi spazi e dall’altro per accrescere i consensi. «Tra i due litiganti, il terzo gode», la mette così tra il serio e il faceto una autorevole fonte dem. Aggiungendo: «Vedremo cosa accadrà dopo le Europee sia in casa Pd che in casa M5s. Del resto anche Susanna Camusso guidava la Cgil e ora è nel Pd. E che dire di Sergio Cofferati? Dopo la sua manifestazione del 2002 a Circo Massimo a Roma, quella sì oceanica a difesa dell’articolo 18, le porte della politica per lui si sono spalancate…».
Dopo le Europee potrebbe aver fine la sfida tra Schlein e Conte per la leadership
Le Europee, appunto. Dopo la tornata elettorale di giugno, potrebbe aver fine la sfida Pd-M5s proprio sul fronte della leadership. Tra i dem però ci credono poco: «Già oggi è una competizione che non ha motivo di esistere, visto che il Pd è il primo partito d’opposizione». È vero, ma è vero pure che c’è un ex presidente del Consiglio che difficilmente riuscirebbe ad accettare un ruolo da comprimario. Tra l’altro proprio dopo essere stato acclamato dagli stessi dem – parliamo di esponenti di peso quali il deus ex machina Goffredo Bettini e l’ex segretario Nicola Zingaretti – come il futuro federatore. «Ma era un altro contesto, le cose cambiano», ribattono con Lettera43 in casa Pd. Una obiezione respinta al mittente dai pentastellati che si fanno forti dei sondaggi e parlano di «partita aperta». Insomma, fino alle elezioni il motto sarà «ognuno per sé». E vedremo se sarà lo stesso anche dopo il voto. Come preconizza un esponente Pd di vecchia data dietro garanzia di anonimato «perché ci sia un federatore dovrebbe esserci una cultura coalizionale che oggi manca». «Nel ‘95 i Ds costruirono le condizioni perché Romano Prodi, di certo non un diessino, fosse il federatore di un’area ampia e il candidato premier. Una generosità che oggi, pur volendo, il Pd non potrebbe avere perché manca la condizione di base e cioè, appunto, una cultura di coalizione». Altro discorso se le Europee si rivelassero una débâcle per Schlein e Conte. In quel caso, forse, si potrebbe costruire un percorso puntando su Vendola o su Landini? «Un federatore», risponde tranchant, «è riconosciuto perché di comune accordo gli si attribuisce un ruolo e non perché il leader del momento fallisce. Non funziona così. Col chiodo schiaccia chiodo non si fa strada e, soprattutto, non si scalza la destra».
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