In due giorni di fine settembre l’Azerbaigian ha recuperato di fatto il controllo sul Nagorno Karabakh, territorio popolato da armeni che negli Anni 90 si era separato da Baku e reso indipendente con il nome di Repubblica di Artsakh. Una sorta di Blitzkrieg – con un paio di centinaia di morti da entrambe le parti, e soprattutto la supremazia militare azera che ha fatto desistere in fretta l’avversario – ha risolto in 48 ore una diatriba lunga tre decenni e qualche guerra. Il presidente azero Ilham Aliyev è andato personalmente a Stepanakert, ora Khakendi, a issare la bandiera nazionale. Circa 100 mila cittadini sono fuggiti in Armenia, dove il governo di Nikol Pashinyan ha dovuto incassare la seconda sconfitta nel giro di tre anni, ma nonostante tutto è rimasto in sella, almeno per ora.
La pace definitiva tra Baku ed Erevan è resta l’appetito azero per il corridoio di Zanzegur
Questione chiusa? No. Innanzitutto perché non c’è ancora una pace definitiva tra i due Paesi e le trattative sembrano ancora in alto mare, poi perché l’appetito azero non sembra del tutto soddisfatto e rimane sul tavolo il tema del corridoio di Zanzegur: una striscia di terra attraverso la provincia meridionale armena di Syunik che potrebbe collegare l’Azerbaigian alla regione sempre azera di Nakhchivan, che confina a sua volta con la Turchia. Questo il piano di Aliyev sostenuto dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, con Pashinyan a lanciare l’allarme per presunti preparativi di guerra azeri. Qualche giorno fa il primo ministro armeno non solo si è lamentato del fatto che i colloqui di pace vanno avanti lentamente con Aliyev che ha boicottato incontri diretti, ma ha affermato che il lavoro dietro le quinte degli sherpa che dovrebbero condurre presto a risultati concreti in realtà è permeato da un’atmosfera di sfiducia mentre la retorica dei funzionari azeri lascia aperta la prospettiva di una nuova aggressione militare contro Erevan. «Armenia e Azerbaigian», ha detto Pashinyan, «parlano ancora lingue diplomatiche diverse e spesso non ci capiamo». Da parte di Baku il ministero degli Esteri ha segnalato la sua disponibilità a impegnarsi nei negoziati, ma per ora non si è mosso praticamente nulla, anche perché l’Azerbaigian ha rifiutato la mediazione europea guidata dalla Francia e quella degli Stati Uniti, ritenendo le potenze occidentali schierate a favore di Erevan. Aliyev ha tuonato direttamente nei giorni scorsi contro Parigi, che con Erevan ha sempre avuto un rapporto privilegiato, accusandola di destabilizzare tutto il Caucaso: «La Francia sta destabilizzando non solo le sue ex e attuali colonie, ma anche la nostra regione, il Caucaso meridionale, sostenendo le tendenze separatiste e i separatisti. Fornendo armi all’Armenia, Parigi attua una politica militaristica, incoraggia le forze revansciste e getta le basi per l’inizio di una nuova guerra nella nostra regione».
L’Armenia è stata abbandonata da Europa e Usa mentre si rafforza l’asse tra Azerbaigian e Turchia
La realtà, più cruda, è però che le cancellerie europee e Washington hanno altro a cui pensare di questi tempi, tra Ucraina e Medio Oriente: le questioni caucasiche sono sempre state in terzo piano e ciò ha anche favorito la crescita del ruolo della Turchia, che a fianco dell’Azerbaigian ha assunto una posizione dominante nella regione. E in contemporanea la Russia, impegnata nel conflitto con Kyiv e con le frizioni che da tempo dividono Vladimir Putin e Pashinyan, ha tenuto un basso profilo, lasciando un po’ l’Armenia al suo destino. La posizione di Erevan di fronte a Baku è al momento di estremo svantaggio e poco da questo punto di vista hanno prodotto la linea del primo ministro in conflitto con Mosca e la virata filoccidentale, dato che appunto Europa e Stati Uniti non hanno nessun interesse a mettersi contro Azerbaigian e Turchia. È la Realpolitik internazionale che sta affondando l’Armenia, abbandonata da tutti.
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