Leggendo il seguente riassunto di “El Miserere” di Gustavo Adolfo Bécquer, tenete presente che l’autore dell’articolo non crede nel purgatorio. La strada per la salvezza è fiducia sincera nell’opera espiatoria di Gesù Cristo nostro Signore. Gesù ha fatto tutto ciò che era necessario per la nostra salvezza. Nessuna offerta o sofferenza può contribuire a ciò, sia durante la vita che in un favoleggiato purgatorio.
Becquér narra la storia in prima persona, ma il narratore non è necessariamente l’autore. Probabilmente è un carattere fittizio.
Il narratore era in visita nell’abbazia di Fitero nel nord della Spagna, quando adocchiò un vecchio manoscritto. Sebbene non sapesse leggere la musica, fu incuriosito da un’incompleta composizione del Miserere. (La parola “miserere” significa “abbi pietà”. Il Miserere è un salmo penitenziale di David: il quinto salmo della Vulgata Latina ed il cinquantunesimo nella versione del re Giacomo I di Inghilterra).
Qua e là sul manoscritto vi erano strane osservazioni su ossa scricchiolanti e una luce inestinguibile. Il narratore chiese ad un vecchio monaco se ne sapesse qualcosa.
Il vecchio monaco parlo di un pellegrino in visita all’abbazia molto tempo indietro. Era un musicista ed aveva usato il suo talento al servizio del peccato anzichè per la gloria di Dio. I suoi peccati pesavano sulla sua anima. Non sapeva come esprimere il suo pentimento fino a quando non conobbe le parole “Miserere mei, Deus” (“Abbi pietà di me, o Dio”) nel salmo di Davide. Da quando aveva letto quelle parole, il pellegrino era alla ricerca di una musica sublime per cantare il Miserere – una musica che esprimesse profondamente il pentimento che sentiva nel suo cuore. L’aveva cercata per tutta la Germania e per tutta l’Italia, ed ora la stava cercando in Spagna. Aveva esaminato diversi scritti musicali del Miserere. Pensava di conoscerli ormai tutti, ma nessuno era in grado di esprimere ciò che egli provava.
Qualcuno gli domandò se avesse mai sentito il Miserere della Montagna. Era un Miserere noto solo ai contadini che l’avevano sentito mentre pascolavano i loro greggi alla giusta ora a tarda notte. Poichè il pellegrino espresse interesse, gli fu narrata la seguente storia.
L’abbazia di Fitero si trovava vicino una catena montuosa visibile all’orizzonte. In mezzo a questi aspri monti giacevano le rovine di un monastero che aveva avuto una breve esistenza molto tempo prima della sua visita.
Il monastero esisteva grazie alla donazione di un uomo ricco che aveva diseredato il suo indegno figlio. Il figlio reagì con un atto oltraggioso degno del suo carattere maligno. Radunò una banda di teppisti suoi pari, attaccò il monastero nel Giovedì Santo, dandolo alle fiamme e uccidendo tutti i monaci.
Alcuni monaci non erano preparati all’incontro con il loro Creatore e quindi dovettero soffrire in purgatorio per qualche tempo. Ogni Giovedi Santo le loro anime tornavano al monastero e cantavano un toccante Miserere.
Era la sera di un Giovedi Santo quando il pellegrino seppe di questo fenomenale evento. Sebbene il tempo fosse inclemente, prese le sue cose ed andò alle rovine del monastero.
Dovette aspettare un bel po’, ma alla fine le rovine si illuminarono di una luce misteriosa, il monastero miracolosamente apparì restaurato, e gli scheletri dei monaci morti cominciarono a cantare il più profondo Miserere che il pellegrino avesse mai sentito. Mentre cantavano, gli scheletri riprendevano le loro carni.
Il pellegrino rimase molto scosso dal fenomeno che stava vedendo. La musica lo entusiasmava, ma era anche terrorizzato. Prima che i monaci finissero il Miserere, il pellegrino svenne.
Il pellegrino rimase all’abbazia di Fitero e tentò di scrivere la musica che aveva sentito. Ebbe successo nel riprodurre tutto ciò che aveva ascoltato; ma quando arrivò al punto in cui era svenuto, non potè finire la composizione. Divenne pazzo e alla fine morì.
Dopo che il vecchio monaco ebbe finito di raccontare la storia al narratore, quest’ultimo guardò il manoscritto una volta ancora. Ma non sapeva leggere la musica, quindi non fu in grado di valutarla.
Fonti: Gustavo Adolfo Becquer, Leyendas